Siamo nel 1776; gli Stati Uniti d'America dichiarano la loro indipendenza:
"Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono
creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi
diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire
questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal
consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a
negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo
governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al
popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità."
Il testo originale parla proprio di "Happiness", riferendosi ad una dimensione complessa e in qualche modo sfuggente: la felicità è di solito intesa come sensazione di appagamento dei desideri ed essendo moltissimi i desideri possibili, le forme di felicità che si possono realizzare sono variegatissime.
Sul tema, ci sembrano interessanti due letture:
una sintesi del paradosso di Easterlin sul rapporto tra felicità e ricchezza:
http://it.wikipedia.org/wiki/Paradosso_di_Easterlin
un godibilissimo studio sociologico di Enrico Finzi sulla felicità degli Italiani:
http://www.ibs.it/code/9788820045197/finzi-enrico/come-siamo-felici-l-arte.html
Fra le precondizioni più preziose e "universali" per la felicità viene solitamente indicata la
SERENITA', cioè la tranquillità interiore, la calma, la pace, l'assenza di turbamento. Questa condizione sembra poter nascere da una profonda consapevolezza di sé e dell'ambiente in cui si vive tale per cui ogni elemento ha una propria collocazione e un proprio significato. E ogni evento, anche il più doloroso, trova una spiegazione e diviene quindi accettabile, come tappa di un percorso dotato di senso, in cui è inevitabile che s'incontrino ostacoli, sconfitte e perdite. Una percezione della Vita che ha bisogno di essere fondata, alimentata, incoraggiata.
Tutto questo dovrebbe essere un
diritto: qualcosa per cui lottare, da affermare, difendere, come prerogativa che mi spetta, che fa parte della mia dignità di persona...
Vuol dire che le istituzioni, insieme alle associazioni di volontariato, dovrebbero predisporre risorse e luoghi per accogliere i disagi e agevolarne il superamento, accompagnando per quel tratto di strada impervio, nel loro percorso di vita, i più deboli, gli smarriti?
Vuol dire che la TV dovrebbe propormi sempre, accanto alle notizie di drammi e tragedie, anche spunti di speranza? Vuol dire che i TG non dovrebbero indugiare sui particolari morbosi che popolano incubi e curiosità malsane?
E la scuola non dovrebbe insegnare a bambini e ragazzi nuovi modi di lavorare in gruppo, anziché un individualismo miope che si alimenta di diffidenza e contrapposizione reciproca, soffocando gli slanci altruistici e finendo per mutilare la società di potenziali progressi possibili solo dall'unione di menti fa loro complementari?
Vuole dire che il tempo dovrebbe poter diventare uno spazio di benessere, in cui trovino posto lavoro e incombenze, ma anche arte, natura, convivialità, spiritualità (declinata in base alle varie fedi e sensibilità), solidarietà...
Vuol dire...?